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Giampietrino: Devozione e Arte di scuola leonardesca nella ricca Milano

Giampietrino: Devozione e Arte di scuola leonardesca nella ricca Milano

Nel 1482, con l’arrivo di Leonardo a Milano da Firenze, “come dono del Magnifico al Moro” – annota Andrea Marmori – la storia della pittura lombarda si arricchisce con dipinti devozionali di contenuta misura. Il Maestro, oberato da gravosi incarichi professionali alla corte degli Sforza, non riesce più a soddisfare, come in Toscana, le numerose richieste che egli affida quindi agli ispirati allievi della sua bottega d’arte meneghina, sotto il proprio sapiente indirizzo.
Discepoli totalmente fedeli al Genio tanto da assimilarne, per quanto possibile, lo spirito e nelle maniere il segno, come traspare nella luminosa “Madonna col Bambino e San Giovannino”, opera del Giampietrino già attribuita a Leonardo. Il direttore del Museo Lia la pone sotto sua attenzione, domenica 2 agosto, nel simpatico e intelligente colloquio settimanale instaurato con i lettori spezzini della “Nazione”, in questo lungo periodo di difficoltoso accesso del pubblico ai luoghi di cultura.
La tradizionale operosità e conseguente ricchezza dei committenti milanesi, allora come oggi, è sicuramente alla base del “Ma che sorpresa!” proferito da Andrea Marmori verso questo dipinto, realizzato per illustrare un’elegante dimora.

 

 

 


L’ambientazione inusuale del “sacro dialogo” concede alla Madonna abito e gemme di pregio e una fine acconciatura, s’impreziosisce di un vaso a doppia ansa con coperchio, oggetto forse in rame ed argento, colorato a ripresa della veste, ma non riesce a sopraffare il senso religioso che il Giampietrino, al secolo Giovan Pietro Rizzoli (circa 1480/1485 – 1553), immette nel suo ordito.
Sul fondo della tela una tenda scura occlude il resto: non solo essa rende molto intima la sacra scena, ma rimbalza in avanti ed esalta lo splendido pallido ovale della Madre, che diventa il centro dell’interesse, calamita l’attenzione e La espone in una posa involontaria.
Ma quello stesso fondo buio e scuro, sul quale il bel vaso si staglia, fa presagire – propone sottilmente Andrea Marmori – la fugacità stessa dell’oggetto, come di tutte le cose terrene, destinato quindi a veder dileguare la propria consistenza materica e simboleggiare il significato transeunte della vita. Questo ricorda agli uomini anche la Mela, appaiata al vaso, chiara allusione alla cacciata dal Paradiso e alla faticosa strada da percorrere per la salvezza dell’anima.

Pier Paolo Meneghini

Susanna Musetti